1. SERVIZI E INFRASTRUTTURE LOGISTICHE PER LO SVILUPPO ECONOMICO LOCALE:
UNO SCENARIO DI RIFERIMENTO.

1.6. L’interporto di Mantova: obiettivo o strumento di una politica industriale per l’innovazione logistica?

In questo Rapporto si insiste molto su un criterio metodologico che dovrebbe informare l’impostazione degli interventi sull’innovazione logistica per il territorio: più che al campo della politica dei trasporti, la logistica dovrebbe rientrare nell’ambito della politica industriale per l’innovazione, e ciò comporta lo spostamento di attenzione dai tradizionali problemi infrastrutturali a quelli organizzativi e di mercato. A questa scelta metodologica non deve essere attribuito un valore assoluto.
E’ fin troppo intuitivo riconoscere che in assenza, o anche in carenza, di adeguate infrastrutture fisiche per la mobilità e i trasporti, nessuna innovazione logistica ha probabilità di successo. Ciò che si intende sostenere è, tuttavia, che esistono margini di azione nel campo della logistica che possono in una certa misura venire affrontati in modo autonomo dai problemi di dotazione infrastrutturale.
Ad esempio, quando si parla di subalternità logistica delle imprese manifatturiere italiane (giudizio espresso anche nell’ultimo Piano Generale dei Trasporti) non ci si riferisce tanto alla carenza di infrastrutture logistiche e intermodali sul territorio nazionale, quanto alla prevalenza di clausole di consegna (FOB per l’export e CIF per l’import) che di fatto delegano ai buyers stranieri la responsabilità di organizzare la catena logistica. Con tutto ciò che ne consegue in termini di appropriazione del business e crescita delle competenze.
D’altro canto, bisogna considerare che, mediamente, i costi della logistica industriale sono solo per meno di un terzo attribuibili alle attività di trasporto, mentre i rimanenti due terzi si riferiscono a funzioni di magazzinaggio, amministrazione, servizi, handling, finissaggio, informazione, ecc., sulle quali ci siamo soffermati nel precedente parag. 1.4. Come si può vedere dalla tabella qui allegata, per alcuni settori rilevanti per l’economia mantovana – come l’alimentare, i prodotti agricoli, le attività commerciali – e ancora più per le industrie a maggior tasso di innovazione – come l’elettronica o la farmaceutica – il rapporto fra servizi logistici e trasporto risulta ancora più a favore dei primi.

Un altro aspetto importante è inoltre oggi definito dalla natura immateriale delle infrastrutture strategiche per la logistica, in particolare dalle piattaforme di scambio delle informazioni (per la gestione congiunta degli approvvigionamenti, per l’ottimizzazione delle scorte e dei carichi, per la borsa dei noli, per il controllo a distanza delle merci, per la trasmissione dei documenti, ecc.) basate su sistemi di comunicazione digitale e sviluppate su protocolli standard o dagli applicativi del commercio elettronico. E’ questo un tema sul quale avremo modo di tornare già nel prossimo capitolo e sul quale si fornisce, alla fine di questo rapporto, un ampio resoconto attraverso slides.
In ogni caso, non si intende affatto sottovalutare la questione delle infrastrutture materiali della logistica, soprattutto quelle di "nodo", riferibili alle attività di stoccaggio, consolidamento dei carichi e interscambio modale. Si tratta senza dubbio di infrastrutture fondamentali, che qualificano la dotazione di un territorio e che offrono opportunità di insediamento per le imprese di servizi logistici e di trasporto.
Ma proprio questo è il punto: infrastrutture come i centri merci e gli interporti non devono costituire un obiettivo in sé quanto piuttosto strumenti di una politica industriale per il miglioramento dei servizi logistici. Evitando il paradosso nel quale troppo spesso i sistemi locali italiani si sono trovati: quello di creare infrastrutture senza imprese, e lasciare le imprese senza infrastrutture.
In questa ricerca, per vincoli di tempo ma anche per scelta metodologica, si è evitato di analizzare a fondo l’esperienza dell’Interporto di Mantova. Tuttavia, dai documenti messi a disposizione si capisce che tale esperienza è nata su presupposti non molto diversi da quelli che hanno accompagnato la realizzazione di altri interporti nelle province italiane. L’idea alla base di tali iniziative era che l’intermodalità dovesse rappresentare uno strumento per dare maggiore efficienza al sistema del trasporto merci, e che per sviluppare una politica per l’intermodalità fosse necessario realizzare su ogni territorio provinciale infrastrutture intermodali. In realtà, questo sillogismo è solo in apparenza lineare: non tutta la domanda di trasporto può trovare risposta nell’intermodalità ma, soprattutto, non è affatto detto che l’intermodalità possa svilupparsi attraverso infrastrutture di scala provinciale.
E, in effetti, gli interporti davvero funzionanti in Italia sono rimasti molto pochi, per una ragione tecnica che si è presto rivelata strategica: l’intermodalità ha bisogno di elevate economie di scala, poiché l’efficienza del servizio dipende dalla possibilità di formare treni blocco frequenti e su direttrici estese, obiettivo questo raggiungibile solo concentrando i flussi su precisi e ben individuati nodi di traffico. Quali sono questi nodi di interscambio che possono interessare le imprese localizzate nell’area mantovana?
Ad un raggio di qualche decina di chilometri se ne individuano almeno quattro: Verona, Bologna, Parma e Padova. Senza aggiungere quello di Milano, che rimane per importanza uno dei principali hub logistici europei.
Nei quattro interporti citati, tutti a gestione mista pubblico-privata, sono disponibili nel complesso quasi 10 milioni di mq di area per i terminal, ai quali si possono aggiungere altri quattro milioni di mq per future espansioni (soprattutto a Verona e Bologna). Le aree coperte per magazzini ammontano, sempre considerando complessivamente i quattro interporti, ad un milione di mq.
Parma svolge in realtà più una funzione di centro logistico che di vero e proprio interporto (nonostante due binari ferroviari già realizzati): qui le aree a disposizione delle imprese per attività logistiche superano i due milioni di mq., con una movimentazione di 120mila veicoli commerciali all’anno e quasi 40mila casse mobili. Verona, Bologna e Padova effettuano invece anche una consistente funzione intermodale, con una specializzazione suddivisa sia in termini di unità di carico, sia per le direttrici geografiche servite. Bologna si è specializzata nei collegamenti con il Centro-sud Italia, Padova nei collegamenti con i porti del Tirreno e verso l’Est Europa, Verona per il Nord Europa. Bologna e, soprattutto, Padova sono specializzate nella movimentazione dei containers (la prima con 700mila unità trattate all’anno, la seconda con quasi un milione e mezzo, che ne fa uno dei principali inland terminal d’Europa), Verona nelle casse mobili (230mila all’anno) e nei semirimorchi (90mila).
Questa breve e incompleta rassegna sull’offerta infrastrutturale e di servizi logistici e per l’intermodalità nei quattro interporti vicini a Mantova ha lo scopo di far capire come al momento non esista, in realtà, un problema quantitativo di dotazione infrastrutturale. Un impresa manifatturiera localizzata sul territorio mantovano, e ancor più un operatore di logistica e trasporti che a questa impresa voglia fornire i propri servizi, ha quindi a disposizione a pochi chilometri un’offerta consistente di infrastrutture logistiche e intermodali di prim’ordine. E siccome un’impresa non ragiona in termini di confini amministrativi o di semplice distanza chilometrica ma di accessibilità a servizi misurabili in termini di costi e qualità complessivi, non è affatto detto che la presenza in territorio mantovano di un Interporto ne faciliti l’utilizzo da parte delle imprese locali. E’ questo un ragionamento che può sembrare banale ma che, in realtà, non sempre è stato considerato nella programmazione delle infrastrutture logistiche.
Tuttavia, questo ragionamento non deve portare alla conclusione che una infrastruttura logistica minore non possa avere un suo spazio di mercato.
E, d’altro canto, l’interporto di Mantova come altri centri intermodali minori, pur non essendo ancora riusciti a sviluppare una vera e propria funzione intermodale, hanno comunque visto crescere interessanti attività logistiche. Magari diventando zone per l’insediamento di imprese di autotrasporto e di spedizione che, grazie alla buona accessibilità alle reti autostradali e alla disponibilità di spazi operativi, hanno potuto investire in nuove funzioni logistiche specializzate a valore aggiunto.
Per quanto riguarda l’intermodalità è la specializzazione la chiave che può aprire interessanti prospettive di sviluppo. Come a Trento, dove si è potuto contare sulla vicinanza con il confine austriaco per inaugurare un efficiente servizio di combinato accompagnato (autostrada viaggiante) che a Verona risultava più difficile organizzare.
A Mantova può senz’altro giocare un ruolo importante l’intermodalità fluviale – sulla quale nessuno degli interporti vicini può direttamente contare – ma sapendo che le merceologie trasportabili per vie d’acqua interne non sono in realtà numerose.
E che, comunque, la semplice gestione intermodale non giustificherebbe investimenti consistenti da parte delle imprese se non accompagnata da attività logistiche a valore aggiunto.
In conclusione, sembra di poter affermare che l’Interporto di Mantova, così come è avvenuto per altri interporti di dimensione minore, potrà sviluppare interessanti spazi di mercato se si sarà in grado di assicurare almeno tre condizioni:
  1. una gestione imprenditoriale e non burocratica delle infrastrutture, che favorisca l’insediamento di operatori logistici specializzati, che a partire dall’offerta di servizi per il tessuto produttivo locale siano in grado, proprio in quanto specializzati, di attirare una domanda di raggio più vasto;
  2. una divisione del lavoro e una integrazione delle attività entro una rete estesa di infrastrutture e servizi per l’intermodalità, a partire dai principali interporti dell’area padana che, come abbiamo visto, hanno già oggi un consistente volume di traffici ai quali aggregare, con adeguati servizi di consolidamento, anche la domanda proveniente dall’area mantovana, e ai quali offrire l’integrazione con le vie d’acqua;
  3. lo sviluppo di progetti innovativi a servizio dell’area urbana (city logistics) e delle filiere produttive locali (district logistics), basati su strategie di diffusione delle tecnologie di rete e di crescita della cultura logistica nelle imprese.
In questa prospettiva, l’Interporto potrebbe veder crescere il proprio ruolo come strumento di una politica per l’innovazione logistica del territorio. Ma, per l’appunto, come uno degli strumenti, non certo l’unico a cui affidare un compito che ha bisogno di altri attori e di altri strumenti per essere effettivamente realizzata.

 


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